Molti lamentano il fallimento dell’Europa, unita solo da una moneta unica e da direttive che ci opprimono. Non sono d’accordo. Un tempo, per unire l’Italia, i maschi facevano il servizio militare, spediti lontano da casa, per mescolare una popolazione provinciale e disomogenea. Persone poco più grandi di me ancora parlano dell’esperienza militare (la naja) come qualcosa di eccezionale. Ancora adesso vanno ai raduni dei corpi in cui hanno servito la patria. Io ero negli alpini. Aver fatto il militare nello stesso corpo affratellava.Per fortuna quei tempi sono passati. Il Programma Erasmus offre a tutti gli studenti universitari, maschi e femmine, la possibilità di trascorrere mesi in altri paesi europei, vivendoci. I voli a basso costo fanno il resto. Da qualche anno, con i corsi di laurea magistrale in inglese, gli studenti stranieri vengono da noi. Tutti i giovani europei, persino i francesi, parlano in inglese, anche se il Regno Unito se n’è andato: proprio la lingua di chi si è staccato unisce così tanto l’Europa.C’è di più. I nostri giovani, se non trovano lavoro, si spostano in altri paesi europei, senza tanti problemi. Soprattutto i laureati. Nel 1987 vinsi un concorso a professore associato. Vivevo a Genova e mi trasferii a Lecce. La distanza è di circa 900 Km, anche se in autostrada sono 1.200. La distanza tra Genova e Parigi è 700 km, la stessa, bene o male, di Bruxelles; Barcellona è più vicina. Come lo sono Nizza e Marsiglia. Non c’era ancora l’euro, allora, e c’erano ancora i controlli di frontiera. Andare fuori dall’Italia significava andare all’estero. Non è più così.Oggi i giovani laureati, e non solo, sono europei. L’Italia non offre opportunità? Se ne vanno. E non hanno grandi problemi emotivi a farlo, non più di quelli che ho avuto io quando ho iniziato a vivere a Lecce, quando la ferrovia tra Lecce e Bari era ancora a binario unico e non era elettrificata, e in treno, da Genova, ci volevano 14 ore. Per andare a Parigi, in cuccetta, ne bastavano 8.Il problema, per noi, non è l’Europa, è l’Italia. Invece di accusare l’Europa dovremmo chiederci come mai i nostri giovani migliori qui non trovano opportunità adeguate, mentre altri paesi li accolgono a braccia aperte, riconoscendone il valore. Gli economisti dicono che il valore di qualcosa è determinato dalla volontà di pagare per essa da parte di chi la vuole. Se ai nostri giovani laureati si offrono stipendi da fame, allora significa che ad essi viene dato poco valore. Se altri sono disposti a pagare di più, significa che danno loro maggior valore di quel che diamo noi. Noi che, però, abbiamo pagato la loro istruzione, visto che le tasse universitarie non coprono i costi di quel che viene offerto: è lo Stato a pagarne gran parte.La responsabilità di tutto questo non è dell’Europa, che ci ha dato il Pnrr e quantità enormi di denaro, prima con l’Obiettivo 1 e poi con i Fondi di Coesione. Soldi che spesso non vengono spesi, oppure sono spesi male: le truffe all’Unione Europea sono visibili nelle zone industriali, nei capannoni abbandonati a seguito di fallimenti programmati. Non parliamo delle quote di produzione, decise in base a quanto dichiarato da produttori che producono 200 e dichiarano 100. Poi ci dicono, OK, allora non devi superare la quota che hai dichiarato: è successo con il latte, e con i tonni. I produttori, allora, si ribellano: l’Europa li vuole rovinare. E trovano partiti che li sostengono, che protestano contro l’Europa. I politici italiani percepiscono il mandato europeo come una diminuzione di importanza, la loro motivazione a fare gli interessi del nostro paese è bassa rispetto a quella dei rappresentanti di altri paesi. Il ritorno politico non si concretizza se si ottengono i fondi a Bruxelles, è come vengono spesi localmente che crea “gratitudine” nell’elettorato.Versiamo contributi all’Europa per sostenere la ricerca. Ci sono paesi che ricevono molto più di quel che versano, e altri, per esempio noi, ricevono molto meno. Il motivo non è la malvagità dell’Europa ma la scarsa competitività nella progettualità, soprattutto in termini di sostegno burocratico a chi presenta i progetti. Poi sul giornale leggiamo che molti giovani ricercatori italiani hanno vinto progetti europei, peccato che lo hanno fatto avendoli presentati all’estero.Dare addosso all’Europa per questi motivi mi pare poco fondato. L’Europa aveva anche intrapreso una politica virtuosa verso la sostenibilità, con progetti come il Next Generation EU e il New Green Deal. Non sono affatto d’accordo con l’Europa quando cambia rotta e decide di “investire” fondi pubblici in armi, programmando folli politiche di spesa. L’impressione è che si cerchi di scoraggiare il senso di appartenenza all’Europa, per poi rinsaldarlo con patriottiche tendenze all’esercito comune: non siamo Europa perché non abbiamo un esercito europeo, facciamolo e saremo a posto, per resistere all’orda russa.Prima non ero preoccupato per l’Europa. Ora lo sono, ma per motivi opposti a quelli di chi ora nega il valore dell’appartenenza all’Unione. Non cambia la mia preoccupazione per l’Italia, incapace di offrire un futuro ai suoi giovani migliori. Poco male, lo trovano in Europa, per ora. In futuro, lo troveranno per arruolarsi nell’esercito europeo? I giovani europei sono più avanti dei politici europei, aspettano solo di trovare offerte politiche sensate, per dare concretezza a quel che già c’è nel loro sentirsi europei.L'articolo Prima non ero preoccupato per l’Europa. Ora lo sono, ma per motivi opposti a chi la rinnega proviene da Il Fatto Quotidiano.