Tornato definitivamente dal Niger da un paio di mesi, mi sono rimesso a fare i conti con la mia terra di origine. Il pezzo di Liguria tra colline e mare, tra paesini dell’entroterra che si spopolano e turisti di spiagge per i fine settimana. Una popolazione che invecchia con nascite rare e occasionali di nuovi cittadini e abitanti nel pianeta Terra. Stranieri coi soldi, dunque rispettati, graditi, attesi e contesi. Poi gli altri stranieri, tra i ‘dannosi’ clandestini e quelli ’utili’ per la cura, l’accompagnamento, l’industria, l’agricoltura e i servizi non più ambiti dai locali. Sembrano definitivamente spazzate via le pazienti costruzioni delle cattedrali, del tempo e le case di pietra.Da un lato si smaterializza e si controlla, quando possibile, tramite le video-sorveglianze, le geolocalizzazioni e quanto appare sugli schermi televisivi o sui ‘social’. Difficile capire e discernere dove inizia il vero, il fittizio, l’invenzione o la realtà. Proprio quest’ultima, la realtà, mistificata, tradita e manipolata persiste, nella sua ostinata testardaggine, a rifiutare l’eutanasia verso cui il sistema di dominazione vorrebbe spingerla ad avventurarsi. Sarebbe comodo per i poteri politici, economici e talvolta religiosi. Meglio sarebbe, per loro, una costruzione che finge di essere e di proporre il reale che conviene e cioè funzionale agli interessi di quelli che contano.Tornato definitivamente dal Niger da un paio di mesi, la parola che le mie orecchie hanno ascoltato e i miei occhi hanno letto è la parola ‘guerra’. Possibile, probabile, necessaria, inevitabile, scellerata, ignobile, ingannevole, preventiva, di difesa oppure, semplicemente, scritta da qualche parte nella storia dell’Europa. Giornali, riviste, bollettini medici o allusioni falsamente gratuite non lasciano dubbi. Ci si riarma, impunemente e vergognosamente, e, lo sappiamo per esperienza millenaria, le armi, quando ci sono, vengono sempre e in qualche modo usate. Specie quelle che coinvolgono il pensiero e dunque le parole.Nulla accade senza di esse. Nessun mondo sarebbe possibile, senza le parole per crearlo, raccontarlo e tradirlo. Ed è per questo che riappare, in tutta la sua squisita semplicità e immediatezza il teorema di Thomas. Formulato dal sociologo William Thomas nel 1928 afferma che “se le persone definiscono certe situazioni come reali, esse saranno reali nelle loro conseguenze”. Drammaticamente lineare e attuale questo teorema, enunciato la cui verità parte da proposizioni non dimostrate, conferma che la realtà (reale) non conta. L’importante è credere, cioè far credere in una realtà costruita ad arte per usarla a proprio uso e consumo.Tornato definitivamente dal Niger da un paio di mesi è proprio questo il teorema che sembra essere puntualmente applicato nelle vecchia (in senso proprio e non figurato) Europa. Un teorema che dà l’impressione di funzionare egregiamente quando i mezzi di comunicazione si allineano sulla narrazione dominante. Religiosi, intellettuali, partiti politici e quanti hanno peso nel sistema di spogliamento globale della dignità. Questa ritirata o dimissione programmata non farà che spianare il terreno alle conseguenze di quanto il teorema annuncia. Si chiama “profezia che si autoadempie”, concetto introdotto dal sociologo Robert Merton, nel 1948.Essa descrive come una previsione o credenza, anche se falsa, può indurre le persone a comportarsi in modo tale da realizzarla, confermandone la veridicità. Chi scrive non è mai stai troppo vicino ai ‘grandi’ ma cerca di cogliere frammenti di verità da ogni parte essi arrivino. Mi piace dunque citare, come cammino alternativo a ciò enunciato sopra quanto lasciato da Giorgio Armani. “Rispetto e attenzione per le persone e la realtà. E’ da lì che tutto comincia”.Casarza Ligure, settembre 2025L'articolo Il teorema di Thomas e la realtà manipolata: riflessioni di ritorno dal Niger proviene da Il Fatto Quotidiano.