Dall’Irlanda a Svizzera, Germania e Italia: chi rischia di più con i dazi Usa al 100% sui farmaci. Ma la Ue rivendica il tetto del 15%

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Quasi un terzo delle importazioni di farmaci negli Stati Uniti arriva dall’Irlanda, seguita da Svizzera, Singapore e Germania. Sono questi i Paesi più esposti al nuovo affondo di Donald Trump, che con un post su Truth il 26 settembre ha annunciato dazi al 100% sui medicinali di marca o brevettati a partire dal 1° ottobre, prevedendo esenzioni solo per le aziende che “stiano costruendo” stabilimenti produttivi sul suolo americano. L’attesa comunicazione è arrivata dopo le anticipazioni dei mesi scorsi, quando il presidente Usa aveva paventato un balzello fino al 200%, ed è stata accompagnata da strali contro l'”inondazione” di prodotti stranieri sul mercato statunitense. Da contrastare anche attraverso tariffe del 50% su mobili da cucina e da bagno e del 25% sull’import di camion pesanti.Per ora resta siamo alle mosse politiche e non ci sono atti ufficiali. Ma la Casa Bianca potrebbe scegliere di blindare le tariffe appellandosi alla Sezione 232 del Trade Expansion Act, lo strumento che consente di introdurre dazi straordinari in nome della sicurezza nazionale, più difficili da impugnare nei tribunali federali rispetto ad altre basi legali. Intanto i dati del Census Bureau, diffusi da Bloomberg, fotografano la geografia del rischio: l’Irlanda pesa per il 29,7% dell’import Usa (73,3 miliardi di dollari nel 2024), la Svizzera per l’8,8% (21,7 miliardi), Singapore per il 7,8% (19,3 miliardi), la Germania per il 7% (17,3 miliardi). Nella top ten figurano anche India (13,1 miliardi, 5,3%), Belgio (12,7 miliardi, 5,2%) e subito dietro Italia (12,2 miliardi, 4,9%). Ma il dato non distingue tra farmaci ancora coperti da brevetto e generici: ed è proprio qui che si gioca la differenza. Se è verosimile che Svizzera e Irlanda — hub globali delle big pharma — sarebbero i più colpiti, Paesi come l’India rischiano meno, vista la forte specializzazione nella produzione di generici, esclusi dalle nuove tariffe evocate dal tycoon.Per Bruxelles, comunque, il punto fermo resta il tetto massimo del 15% ai dazi concordato con Washington al vertice di luglio in Scozia e poi tradotto in un documento congiunto, che copre farmaci, legname e semiconduttori. “Rappresenta una polizza assicurativa che garantisce agli operatori economici Ue che non saranno applicate tariffe più elevate”, ha ribadito il portavoce della Commissione Olof Gill. Lo stesso commissario Ue al Commercio, Maros Sefcovic, da Hanoi ha sottolineato che “c’è un chiaro impegno da parte degli Stati Uniti a mantenere anche i prodotti farmaceutici entro il tetto del 15%”.Alcuni impegni reciproci sono già stati messi in pratica: dagli Usa l’introduzione del limite tariffario per auto e componenti, retroattivo dal 1° agosto, e le esclusioni per aerospazio e farmaci generici dal 1° settembre e dall’Ue la proposta legislativa per ridurre i dazi sulle esportazioni statunitensi. “Finora entrambi stanno rispettando la dichiarazione congiunta e credo che continueremo in questa attuazione in buona fede”, l’auspicio di Sefcovic.Sul tavolo restano comunque altre partite: dai contingenti tariffari alle salvaguardie sull’acciaio, fino alla cooperazione sui vini e sugli alcolici, tasto dolente per i produttori europei. Intanto, il dossier farmaci resta centrale, non solo per l’industria europea ma anche per i pazienti.L'articolo Dall’Irlanda a Svizzera, Germania e Italia: chi rischia di più con i dazi Usa al 100% sui farmaci. Ma la Ue rivendica il tetto del 15% proviene da Il Fatto Quotidiano.