Recensione Ghost of Yōtei: se lo sottovalutate per via della protagonista perderete una grande esclusiva PS5

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La scelta di non riprendere Jin Sakai poteva sembrare rischiosa, ma già dopo poche ore ci si rende conto che Atsu è una protagonista tutt'altro che banale. È un'"underdog", una sopravvissuta alla Battaglia di Sekigahara, cresciuta nella guerra e temprata dalla vendetta. Il desiderio di giustizia – o meglio, di rivalsa – è il fuoco che la spinge in avanti, consumandola, ma lungo il cammino emergono anche legami, affetti e figure che le ricordano quanto possa ancora far parte di una comunità. In tanti si sono posti il dubbio che una donna armata di katana possa competere con samurai o banditi, ma la realtà dei fatti è che Atsu combatte da tutta la vita, e durante il gioco e l'evolversi della trama verrà ulteriormente addestrata e resa sempre più combattiva e astuta.Il racconto non è lento né frammentato: al contrario, c'è sempre tantissima carne al fuoco e un ritmo cinematografico sufficientemente incalzante. La vendetta è il filo conduttore, ma la scrittura trova spazio per colpi di scena ben piazzati, personaggi secondari a cui ci si affeziona e sensei pronti a insegnare nuove arti marziali e nuove armi. A scatenare il tutto sono i Sei di Yōtei, una banda al soldo di Lord Saito che rovina per sempre la vita di una giovanissima Atsu, portandola appunto a fuggire e a rifugiarsi nella guerra per sopravvivere. Proprio i villain, che fungono da filo conduttore di tutta la trama, sanno essere convincenti e spietati. Atsu cresce lungo tutta l'avventura, non solo come guerriera ma anche come persona, ed è impossibile non affezionarsi al suo percorso. Tornano inoltre le modalità "filtri cinematografici": accanto alla già nota modalità Kurosawa ci sono ora quelle dedicate a Shinichirō Watanabe e Takashi Miike, che rielaborano le atmosfere visive e sonore del gioco secondo stili ben precisi. Tutto questo è avvolto da un amore evidente per la bellezza: panorami che sembrano quadri in movimento, scene che alternano poesia e spettacolarità. Un esempio fra tutti? Galoppare al fianco di un lupo durante una tempesta di fulmini che incendia alberi e praterie: puro cinema interattivo. E si vede che il team di sviluppo e quello creativo hanno studiato a lungo sia la zona che tutta la storia riguardante quell'esatto periodo storico. Lo si nota da tanti piccoli dettagli, dalle popolazioni che abitano le zone, dalle tradizioni: insomma, tutto trasuda amore e rispetto per le fonti di ispirazione. Se in Ghost of Tsushima il cuore del sistema di combattimento erano gli stili, in Ghost of Yōtei tutto ruota attorno alle armi. E la varietà è impressionante: katana, doppia katana, yari (lancia), odachi (spada lunga), kusarigama, archi, pistole, fucili, bombe, kunai e molto altro. Non è solo una questione di quantità, ma di approccio: il gioco costruisce una vera e propria meccanica "sasso-carta-forbice", che insegna a riconoscere le armi dei nemici e a rispondere con quelle più adatte. Una doppia katana può spezzare una yari, una yari mette in crisi il kusarigama, per rompere gli scudi si usa il kusarigama, e così via. A rendere gli scontri ancora più dinamici c'è un dettaglio che i fan di Tsushima avevano chiesto a gran voce: alcuni nemici cambiano arma durante il combattimento, costringendo a rivedere le strategie in corsa. È un sistema che rende ogni duello più vivo e meno prevedibile. La varietà è un punto di forza, ma anche la qualità non manca: ogni arma ha animazioni e ritmi unici, che restituiscono la sensazione di una danza mortale in cui il tempismo è tutto. Le boss fight e i celebri "confronti" si confermano momenti di grande intensità, e non mancano le novità come i Buddy Standoffs, sfide affrontabili insieme ad alleati. A tal proposito, c'è anche la meccanica del lupo. Non staremo qui a spoilerarvi per intero la sua dinamica all'interno del gioco, ma è comunque legato sia al gameplay che alla trama e alla storia di Atsu. Non vi aspettate un compagno animale in stile druido da gioco di ruolo, ma la sua presenza è comunque molto importante! L'intelligenza artificiale non è perfetta: in stealth può risultare prevedibile, ma negli scontri diretti riesce comunque a mettere sotto pressione, soprattutto ai livelli di difficoltà più elevati. È qui che emergono la crescita di Atsu e l'importanza dei potenziamenti ottenuti con missioni e attività secondarie. Se l'isola di Tsushima aveva già stupito per la sua bellezza, l'Hokkaidō di Ghost of Yōtei alza ulteriormente l'asticella. Non tanto per estensione – la mappa non è più grande di quella del primo gioco – quanto per densità. Ogni tratto di terra è vivo: mercanti in viaggio, ronin e sgherri nemici che attraversano le pianure, battaglie improvvise tra clan rivali, incendi che divampano dopo un fulmine. Non è solo uno sfondo, ma un ecosistema in costante movimento, che ti trascina dentro anche quando stai semplicemente cavalcando verso la prossima missione. L'esplorazione resta uno dei punti cardine. Come ci ha raccontato Adrian Bentley nell'intervista, il team ha voluto mantenere quello "schermo pulito" che già aveva convinto in Tsushima. Nessuna interfaccia invasiva: il gioco ti guida attraverso dettagli visivi e sonori, dalle colonne di fumo in lontananza al verso di un animale che ti indica un punto di interesse. C'è ovviamente il Vento, elemento cardine nel precedente capitolo, che funge da navigatore e che appunto non forza il giocatore ad aprire mappe rompendo l'immersività. E per chi vuole una mano in più, uno dei personaggi che incontreremo nei nostri viaggi ci venderà mappe parziali specifiche, perfette per scoprire segreti che magari ci siamo persi durante l'esplorazione "manuale". Il risultato è che Ghost of Yōtei ti spinge naturalmente verso il completismo senza fartelo pesare. Non ci sono checklist da svuotare, ma piccoli stimoli che ti attirano a esplorare: un albero solitario all'orizzonte, un suono che proviene da una radura, un incontro fortuito lungo la strada. È un design che trasforma ogni deviazione in un'occasione narrativa e poetica, capace di sorprendere, o comunque di intrattenere, anche dopo decine di ore. Le missioni secondarie di Ghost of Yōtei non sempre sono semplici riempitivi. Ce ne sono tantissime, di diversa natura e complessità: alcune rapide e immediate, altre articolate in più fasi, fino a vere e proprie mini-linee narrative che arricchiscono il mondo di gioco. È qui che si incontrano personaggi memorabili, comprimari che finiscono per lasciare un segno quanto e più di quelli della trama principale. Allo stesso tempo, le attività secondarie hanno un impatto concreto sul gameplay. Alcune quest permettono di sbloccare nuove armature, con effetti tangibili non solo sulle statistiche ma anche sull'estetica di Atsu. Altre danno accesso a nuove armi o talenti, rendendo la progressione più sfaccettata e meno lineare. Il bello è che questo completismo non pesa mai. Non c'è la sensazione di "pulire una mappa", ma quella di vivere in un mondo che reagisce alle tue azioni e ti premia con sorprese. Che si tratti di un villaggio in pericolo, di un duello inaspettato o di un nuovo alleato pronto a unirsi al tuo "branco", ogni deviazione riesce a dare qualcosa di più, spingendo a fermarsi e assaporare anche ciò che non è strettamente necessario. Dal punto di vista tecnico Ghost of Yōtei è un'opera che spinge quanto più possibile l'hardware di PlayStation 5, e che su PS5 Pro mostra persino qualcosa in più. Gli scenari dell'Hokkaidō sono un tripudio di biomi diversi: distese innevate che si deformano sotto i passi, praterie infinite che ondeggiano al vento, coste battute dalle onde, foreste infuocate da tempeste improvvise. La varietà e la resa artistica sono tali da trasformare ogni panoramica in un quadro vivente. Giocato su PS5 in modalità Performance, l'esperienza è fluida a 60 fps, come un action di questo tipo richiede. Su PS5 Pro si può spingere oltre con la modalità Performance Ray Tracing: un compromesso che mantiene i 60 fps e aggiunge riflessi e illuminazioni globali di nuova generazione, restituendo panorami che su un grande schermo diventano spettacolari. Esiste anche una modalità Qualità a 30 fps, ma l'impatto sul ritmo dell'azione la rende meno consigliabile. Dal punto di vista dei modelli, le armature di Atsu sono ricchissime di dettagli, con tessuti che reagiscono al vento e superfici che si sporcano durante i combattimenti, non solo di sangue (disattivabile per i più sensibili), ma anche di fango. Anche le espressioni facciali mostrano un netto passo avanti rispetto a Ghost of Tsushima: non siamo ai livelli titanici di Death Stranding 2, ma il salto qualitativo è evidente, con più acting e più sfumature emotive. Piccole sbavature non mancano: qualche compenetrazione poligonale o animazioni meno curate in momenti marginali. Ma parliamo di imperfezioni che passano inosservate davanti all'enormità e alla coerenza del resto. Nel complesso, Ghost of Yōtei è uno degli open world visivamente più impressionanti dell'intero catalogo PS5. Se Ghost of Tsushima aveva già convinto per la sua colonna sonora, Ghost of Yōtei alza ulteriormente l'asticella. La musica non è solo un accompagnamento, ma una parte integrante dell'esperienza. Le tracce orchestrali accompagnano con eleganza tanto l'esplorazione quanto i momenti più concitati, mentre alcune sequenze centrali sono arricchite da brani cantati che spingono forte sull'emotività. La protagonista stessa è legata, per motivi di trama, a uno strumento musicale che il giocatore si trova a suonare più volte: un dettaglio che diventa meccanica di gameplay e che rende il legame fra musica e narrazione ancora più forte. In questo senso sembra quasi che Sucker Punch abbia preso spunto da esperienze come Death Stranding 2, dove la musica diventa un elemento identitario. A rendere il tutto ancora più coinvolgente è l'uso del DualSense. Le vibrazioni non si limitano a sottolineare i colpi di spada o i galoppi a cavallo: sono sincronizzate con la musica, imitando il ritmo degli strumenti. Si avvertono leggere pulsazioni quando Atsu cammina, galoppa o combatte, con un feedback aptico studiato al millimetro. Anche lo speaker del controller entra in gioco con tocchi sottili che amplificano l'impatto emotivo di alcune scene.Il risultato è un'esperienza audiovisiva unica, in cui ciò che vedi, ascolti e senti tra le mani si fonde in modo naturale, elevando la già forte immersione del gioco. Ghost of Yōtei non punta a stupire con numeri gonfiati, ma con un ritmo costante e bilanciato. La campagna principale, se affrontata di corsa, può essere completata in circa 30 ore, a meno di non giocarla al minimo della difficoltà consentita. Ma sarebbe un peccato: il gioco dà il meglio di sé quando ci si lascia trascinare anche nelle missioni secondarie e nelle attività collaterali, raggiungendo facilmente le 45-50 ore senza mai risultare ridondante. Merito di una progressione studiata con attenzione, che distribuisce nuove armi e meccaniche anche molto avanti nell'avventura. Dopo decine di ore c'è ancora qualcosa da scoprire, un'abilità da sbloccare, un'arma da padroneggiare. È un approccio che spinge a tornare nel mondo di gioco non per dovere, ma per piacere, mantenendo sempre vivo l'interesse.Per chi ama perdersi nell'esplorazione e nel completismo, il pacchetto si allarga ancora di più, con una quantità di contenuti che può impegnare per molte settimane. Senza però mai dare la sensazione di un open world diluito o pieno di riempitivi. Il legame con Ghost of Tsushima è evidente fin dal primo istante, ma Ghost of Yōtei sceglie di non limitarsi a ripetere la formula. Le differenze emergono chiare.La prima è il sistema di combattimento: in Tsushima tutto ruotava intorno agli stili di Jin Sakai, mentre qui il cuore dell'azione sono le armi, ciascuna con un'identità precisa e con meccaniche che rendono gli scontri più vari e dinamici. Il semplice fatto che i nemici possano cambiare arma durante la battaglia rende il ritmo meno prevedibile e più vivo. La seconda è l'impatto visivo. Tsushima aveva già mostrato panorami mozzafiato, ma Yōtei moltiplica la spettacolarità con ambienti più densi, eventi dinamici e biomi diversificati. Le animazioni dei personaggi, dalle espressioni facciali ai dettagli delle armature, segnano un passo avanti netto rispetto al 2020. Infine, c'è una questione di tono narrativo. Jin era diviso fra la via del samurai e quella dello shinobi, in una lotta contro un invasore che chiamava in causa onore e dovere. Atsu, invece, è guidata dal fuoco della vendetta, un motore più personale e intimo, che cambia completamente il modo in cui si vivono le sue scelte e il suo percorso.E sul perché non continuare con un protagonista già rodato, in qualche modo ci ha risposto Adrian Bentley nella già citata intervista: perché Sucker Punch voleva raccontare una nuova "origin story", senza andare per forza a intaccare quella già raccontata, magari sforzandosi di trovare un seguito a una storia che una sua fine già ce l'aveva.In sintesi, Ghost of Yōtei non è un sequel in senso stretto, ma un'evoluzione: mantiene intatte le qualità che hanno reso grande Tsushima, portandole in un territorio nuovo, più ricco e più audace. Il prezzo di listino di Ghost of Yōtei ammonta a 79,99€, ma se non disdegnate la copia fisica (e perché dovreste!) potete pre-ordinarlo su Amazon a 69€ circa. C'è anche una Digital Deluxe Edition che include l'armatura speciale "La Serpe", una tinta speciale, cavallo e sella, un kit spada, varie Mappe del Viandante e un Amuleto, e viene a costarvi 10€ in più. Il codice per questa recensione è stato fornito da PlayStation Italia, che non ha avuto un'anteprima di questo contenuto e non ha fornito alcun tipo di compenso monetario. Qui trovate maggiori informazioni su come testiamo e recensiamo dispositivi su SmartWorld.L'articolo Recensione Ghost of Yōtei: se lo sottovalutate per via della protagonista perderete una grande esclusiva PS5 sembra essere il primo su Smartworld.