Il cielo di Milano, attraversato da giornate instabili e improvvisi chiaroscuri, sembra aver dettato il ritmo anche alle passerelle della Milano Fashion Week che si è conclusa domenica sera con l’evento di Armani a Brera. Le sfilate che abbiamo visto negli ultimi giorni raccontano un ventaglio di visioni che, pur nella loro diversità, trovano un filo comune: la ricerca di un equilibrio tra essenzialità, memoria e sperimentazione, tra il desiderio di libertà e il bisogno di radici.All’Officina Ferrari, Rocco Iannone ha scelto di riportare la moda alla sua missione primaria: vestire e resistere. In un ambiente asettico, scandito dal bianco assoluto e progressivamente acceso fino all’iconico rosso Ferrari, la collezione primavera/estate 2026 ha svelato una silhouette pulita, quasi chirurgica. I capi in lana morbida, i completi rilassati e soprattutto la “gonna camicia” incarnano un’idea di guardaroba funzionale ma deciso. “Tutto si riduce per mettere a fuoco forma e funzione”, spiega il brand, ribadendo un’estetica in cui materia e semplicità diventano protagoniste. Il guardaroba diventa comodo, essenziale, quasi chirurgico. Il capo simbolo è la gonna-camicia, versatile e potente, da indossare da sola o a strati, in un crescendo cromatico che dal bianco arriva all’iconico rosso del brand.Sulla stessa lunghezza d’onda, quella di un’eleganza che nasce dalla sottrazione, ha debuttato in passerella Sa Su Phi, il marchio fondato da Sara Ferrero e Susanna Cucco. Il nome, che evoca l’espressione francese “ça suffit” (“è abbastanza”), è una dichiarazione d’intenti: non minimalismo, ma consapevolezza del “questo basta”. La collezione, nata – spiegano le fondatrici – “non a partire dalla moda ma dalla donna”, costruisce un guardaroba essenziale, dove la maglieria diventa outerwear e la seta esprime una sensualità sussurrata. “La moda arriva dopo, serve ad aiutare la donna a esprimersi meglio”, dicono Sara e Susanna. È un progetto che parte dal corpo femminile per costruire capi in cui benessere e sensualità coincidono.Ma se una parte della moda cerca l’essenza nel togliere, un’altra la trova nell’aggiungere, nel plasmare la materia con un’audacia che rasenta la magia. Ermanno Scervino ha portato in passerella una collezione che è un inno alla libertà creativa e all’alto artigianato. “Volevo più libertà“, ha raccontato nel backstage, “fare qualcosa di importante e bello senza che il logo fosse protagonista. È più importante l’abito, con le sue lavorazioni speciali”. E lo ha fatto, trasformando un tessuto impalpabile come lo chiffon in un blazer sartoriale, lavorato a strati con la tecnica “a petalo d’iris”. La nappa si piega in plissé irregolari, pizzo e uncinetto diventano architetture leggere, mentre i completi tre pezzi con cravatta dialogano con flip-flop decorate in pizzo. Una femminilità che si veste di forza, applaudita da una prima fila di star come Chiara Ferragni e Natalia Vodianova.Una celebrazione della vita e della natura ha invece animato la passerella di Luisa Spagnoli. Tra spighe di grano, hanno sfilato abiti che parlano di “un’eleganza che nasce dal rispetto per il proprio corpo e per la terra che abitiamo“, come ha spiegato Nicoletta Spagnoli. Lino, cotone e organza di seta diventano una seconda pelle, i bustier in rafia segnano il punto vita senza costringere, e le stampe floreali e marinière evocano un’estate senza tempo. È una moda che vuole “tirare un po’ su le persone e dare loro speranza”, ha aggiunto la stilista, “perché nei momenti più cupi, la moda è quello che ti fa sognare”. Questo filo onirico e narrativo è stato ripreso anche da Laura Biagiotti che, celebrando i 60 anni della maison, ha portato in passerella la leggerezza della “farfalla futurista” di Giacomo Balla, con l’iconica top model Pat Cleveland a interpretarla. In passerella, caftani e tubini ricamati, abiti in tessuti impalpabili che ricordano il volo. Colori assoluti, maglieria strutturata e il gran finale in bianco e nero raccontano una leggerezza dinamica, sobria e modernissima.Con Pierre-Louis Mascia, invece, si entra in un’altra dimensione: quella della memoria. La collezione, ispirata a Les Enfants du Paradis, porta in scena sete polverose e preziose, 18 stampe originali intrecciate in gonne vaporose e camicie effetto pigiama. È un guardaroba che sembra uscito da una soffitta, dove ogni tessuto racconta una storia dimenticata, sospesa tra eleganza e intimità. Tutt’altre atmosfere, poi, da Daniele Calcaterra, che festeggia il decennale del marchio con una collezione che intreccia sartorialità maschile e sensualità femminile. Giacche rigidamente costruite incontrano abiti fluidi, pantaloni voluminosi stringono sul fondo. Echi di monili berberi arricchiscono il tutto, trasformando le silhouette in un territorio nuovo, che non appartiene più a un genere definito. Infine, Forte_Forte trasforma il proprio spazio in un boudoir da diva, tra velluti e drappeggi. La collezione “Folies, mon amour!” è un’esperienza immersiva che mette al centro emozioni e sensazioni. Giada e Paolo Forte, fedeli alla loro filosofia di crescita organica, propongono abiti che accarezzano il corpo e colori vibranti che restituiscono intimità e autenticità.L'articolo Milano Fashion Week, i migliori look: la ricerca sui tessuti di Ermanno Scervino, la gonna-camicia di Ferrari e il debutto di Sa Su Phi proviene da Il Fatto Quotidiano.