Il 25 aprile scorso, giorno del suo compleanno, Andrea Vianello ha annunciato la sua separazione consensuale dalla Rai : “Non è stato semplice. I trentacinque anni passati nel servizio pubblico rimangono. La Rai è davvero un pezzo della mia vita, l’ho amata tanto. Non è stato bello lasciarsi, ma mi sono reso conto che non c’erano prospettive, né l’interesse dei vertici nei miei confronti. Ho preferito liberarmi senza attriti e non intendo fare polemiche con quella che è stata casa mia. In questi mesi c’è stata la cosiddetta decantazione e adesso che la stagione è ricominciata ho ripreso a guardarmi attorno. La ‘passionaccia’, come la chiama Mentana, rimane“, racconta in un’intervista a Fanpage.Giornalista, conduttore, direttore di Rai3, RaiNews, Radio 1 e San Marino tv: “Ho deciso di non tornare alla conduzione. Oddio, mai dire mai, però non è la mia attuale priorità. È un mestiere che credo di aver svolto bene e per il rispetto di ciò che sono stato ritengo sia corretto lasciare spazio ad altri. La mia intenzione è questa. Dopo l’ictus sono stato direttore di Rai News e Radio1, è bello vedere altre persone crescere. Ho 64 anni e la mia esperienza nel coordinamento editoriale può tornare utile. Mi auguro di intercettare nuove possibilità”, aggiunge Vianello.Il giornalista fissa nel 2019 una linea di demarcazione: “In realtà non c’è un pre e post ictus, sono uguale a prima, magari con un problema in più, ma di sicuro più vero. Ho un rapporto più forte con me stesso. Quest’esperienza ha rimesso le priorità della mia esistenza al loro posto”. Conclusa la sua avventura da direttore di Rai3, Vianello era approdato alla conduzione del programma sportivo “Rabona“: “La sera prima del malore ero andato in onda fino a tardi e già mi portavo dietro un forte mal di testa. Mi parve strano, ma in quelle circostanze l’adrenalina ti toglie ogni pensiero. Terminata la registrazione non lo sentii più, ma al risveglio il mattino dopo riapparve. Era in atto la dissecazione della carotide ed ebbi a malapena il tempo di capirlo. Mia moglie, molto lucidamente, riuscì a chiamare il 118 e spiegò che avevo metà corpo bloccato e che non riuscivo più a parlare“.“I tempi sono fondamentali, lo predico in continuazione. Fui fortunato a trovare tutte le situazioni giuste al momento giusto. Ad esempio, quel sabato non c’era traffico e arrivai all’Umberto I rapidamente. Lì trovai un medico coraggioso che mi operò“, racconta Vianello. Una notizia che per mesi riuscì a tenere riservata: “Al risveglio avevo perso le parole. Dentro la mia testa c’erano, ma non sapevo più tirarle fuori. Un mio collaboratore usò il mio profilo social per annunciare che la settimana successiva non ci saremmo stati. (…) Da lì in poi affrontai lunghi mesi di riabilitazione e sulla mia disavventura scrissi il libro ‘Ogni parola che sapevo’. Condivisi il dramma e non mi nascosi. Chi è vittima di un ictus – continua Vianello -subisce uno stigma. Io ho subito un danno, ma mi considero la stessa persona di prima. È evidente che se potessi tornare indietro eviterei questo incidente, ma siccome devo farci i conti ci convivo. Sono tornato a parlare, qualche volta inciampo con le parole. Pazienza. L’ictus è la seconda causa di morte e la prima di disabilità. Nonostante ciò, se ne parla poco, perché fa paura. Per decenni si è evitato di pronunciare la parola ‘cancro’, ora lo stesso tabù c’è per il termine ‘ictus’”, conclude a Fanpage.L'articolo “La sera prima dell’ictus ero andato in onda fino a tardi e mi portavo dietro un forte mal di testa. Era in atto la dissecazione della carotide, mia moglie capì”: parla Andrea Vianello proviene da Il Fatto Quotidiano.